Uno psicologo spiega 4 ragioni per cui le persone credono alle teorie del complotto

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di Lorenzo Mattia Nespoli

03 Dicembre 2021

Uno psicologo spiega 4 ragioni per cui le persone credono alle teorie del complotto
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Vi siete mai chiesti perché molte persone decidono di credere fermamente a teorie e presunte verità che considerano buona parte della realtà e del mondo in cui viviamo in chiave cospirazionistica? Sì, stiamo proprio parlando delle famigerate teorie del complotto, argomenti di cui si sente sempre più parlare, complice anche la più semplice diffusione di notizie più o meno vere che oggi avviene tramite i canali social.

Premettiamo che non è nostra intenzione, in questo articolo, prendere posizioni oppure analizzarle nel dettaglio, ma riportare l'opinione di un esperto a riguardo. Lo psicologo David Hundsness, infatti, è intervenuto cercando di dare una spiegazione ai meccanismi che tante persone mettono in atto seguendo proprio verità alternative a quelle ritenute "standard". E non si tratta certo di una novità del periodo che stiamo vivendo, quanto di un aspetto sociale presente già da molto tempo e oggi più amplificato. Scopriamo allora quali sono, secondo Hundsness, quattro ragioni che portano una persona a credere a tali teorie.

via petearthling - David Hundsness/TikTok

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petearthling - David Hundsness/TikTok

petearthling - David Hundsness/TikTok

Convincersi di una verità alternativa al punto da renderla indiscutibile e ritenere tutte le obiezioni - anche quelle più sensate - prive di fondamento. Questo, in sintesi, è l'atteggiamento che scatta in tutti coloro che decidono di abbracciare teorie alternative a quelle più accettate in società. "Nonostante tutte le prove disponibili - si chiede lo psicologo in uno dei suoi video pubblicati su TikTok - non è strano che così tante persone scelgano di seguire fatti alternativi, pur sapendo che in molti non saranno d'accordo, le derideranno, discuteranno e daranno loro degli stupidi?".

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Mikey/Flickr - Not the actual photo

Mikey/Flickr - Not the actual photo

Una domanda di certo interessante, alla quale Hundsness cerca di dare delle risposte, suddividendole essenzialmente in quattro grandi categorie. "Mancanza di informazioni adeguate, ansia, necessità di seguire un gruppo ed ego": sono questi i quattro punti-cardine su cui, secondo lo psicologo dell'Università della California, si basa l'accettazione delle teorie del complotto. Tutte queste motivazioni, secondo lui, possono adattarsi a contesti diversi, ma il fattore più grande che rimane sempre in gioco è quello dell'ego.

Pixabay - Not the actual photo

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"Cosa ha a che fare l'ego con queste teorie? - si chiede l'esperto - è ciò che le alimenta. Forse, prima di abbracciarle, queste persone si sentivano come se non stessero ottenendo il giusto riconoscimento personale o il giusto successo in determinati ambiti, ma sostenendo queste verità alternative - prosegue Hundsness - improvvisamente possono dare la loro testimonianza da 'esperti' o da pensatori speciali e indipendenti che credono di conoscere cose che gli altri ignorano. Così - ha detto ancora - più vengono elogiati da altri, più saranno anche pronti ad affrontare critiche: è questa la spinta comune delle teorie cospirazioniste".

Intervenendo invece su ansia, mancanza di informazione e necessità di appartenere a un gruppo, lo psicologo ha affermato: "quando c'è carenza di informazioni, la teoria del complotto riempie quel vuoto; quando qualcosa causa ansia tali teorie aiutano a prevedere da dove viene la minaccia; se poi il gruppo di cui fai parte crede a quella verità è più probabile che anche tu ci creda".

Tutte queste motivazioni, secondo Hundsness, rendono estremamente difficile scardinare le convinzioni complottiste nella mente di chi le sostiene. "Se proprio devono cambiare idea - ha detto - devono essere persuasi da qualcuno che faccia parte del loro gruppo, o almeno da qualcuno che gli si rivolga con neutralità. Ci vuole molto tempo per controbilanciare l'enorme quantità di disinformazione che hanno consumato".

Dunque, alla luce delle sue parole, voi cosa ne pensate? Ha ragione questo psicologo?

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