Sua figlia è nata prematuramente ma dopo soli 12 giorni dal parto è costretta a tornare a lavoro

di Irene Grazia Paladino

04 Febbraio 2022

Sua figlia è nata prematuramente ma dopo soli 12 giorni dal parto è costretta a tornare a lavoro
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Ogni Paese ha le sue politiche per quanto riguarda i congedi parentali, di maternità e di paternità, retribuito: il genitore, soprattutto la mamma, deve astenersi dal lavoro nel periodo che precede la nascita e che segue la nascita del figlio. Ma il numero di giorni, settimane o mesi in cui il neo-genitore può rimanere a casa a prendersi cura del neonato varia da Paese a Paese. La situazione degli Stati Uniti è molto precaria: solo il 21% dei lavori statunitensi riescono ad ottenere un congedo parentale retribuito, e spesso perché sono le aziende a concederlo. Cosa significa questo? Che il genitore è costretto a tornare a lavoro? Non obbligatoriamente, ma se il genitore vuole rimanere a casa con il bambino appena nato, deve rinunciare al proprio stipendio. Secondo la legge, infatti, è diritto di ogni dipendente andare in congedo di maternità per 3 mesi, non retribuiti.

 

via edensmomma10_12/TikTok

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edensmomma10_12/TikTok

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Le donne, allora, si trovano spesso a dover fare i conti con una scelta tutt’altro che semplice: rinunciare allo stipendio o rinunciare a trascorrere i primi giorni di vita con il figlio? Una giovane mamma ha raccontato la sua esperienza in uno sfogo su TikTok. Rebecca Shumard ha 26 anni e sua figlia è nata prematuramente. I bimbi nati prematuramente devono trascorrere giorni, e in alcuni casi anche settimane, in ospedale per gli accertamenti: i medici si assicurano che il neonato prematuro cresca nel modo giusto. Per la mamma, quindi, sarebbe importante essere presente in giorni così delicati. Ma Rebecca è stata costretta a tornare a lavoro solamente dopo 12 giorni dal parto.

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edensmomma10_12/TikTok

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La figlia di Rebecca, la piccola Eden, è rimasta in terapia intensiva neonatale, ma la neo-mamma ha dovuto lasciarla da sola già dopo 12 giorni. Nel video pubblicato dalla donna, possiamo vedere la sua tristezza, la sua frustrazione, la sensazione di non poter fare nulla davanti ad un “Paese che non fa nulla per i bambini” o che dà priorità solamente al lavoro. Riusciamo solamente ad immaginare il dolore della donna, che non ha avuto il tempo di riprendersi pienamente dal parto e di stare accanto alla figlia in terapia intensiva. Rebecca ci ha mostrato le ingiustizie e le difficoltà che moltissime mamme devono affrontare, e spera che un giorno possano essere adottate delle politiche volte a tutelare le mamme e i neonati: entrambi hanno il diritto di stare insieme, senza che la mamma debba rinunciare allo stipendio.

 

 

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