Il lato oscuro del cashmere: le conseguenze della produzione che molti di noi ignorano

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di Lorenzo Mattia Nespoli

05 Settembre 2019

Il lato oscuro del cashmere: le conseguenze della produzione che molti di noi ignorano
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Quando acquistiamo un bel maglione nuovo, magari di buona fattura e ottenuto da una fibra "pregiata", è raro soffermarsi a pensare a ciò che sta dietro al capo d'abbigliamento che abbiamo in mano.

Ci riferiamo al lavoro di produzione, magari frutto di persone sfruttate o i cui diritti non sono garantiti, ma anche a come è stata ottenuta la fibra venduta per preziosa ed esclusiva. Si tratta di aspetti su cui vale davvero la pena riflettere un po', visto la situazione di cui stiamo per parlarvi.

Relativamente al cashmere, tessuto "lussuoso" per eccellenza, i lati oscuri e le crudeltà sugli animali che la sua produzione porta con sé sono a dir poco agghiaccianti. Vediamo perché.

via Peta.org

Commons/Wikimedia

Commons/Wikimedia

Ciò che dovrebbe distinguere gli esseri umani dagli altri animali è la capacità di provare sentimenti, empatia, avere una morale e un'etica. Insomma: capacità intellettive più evolute. Eppure, guardandoci intorno, spesso quello che accade nel mondo ci racconta di qualcos'altro, ossia di atti di crudeltà, soprusi e violenze che sembrano rispondere a un vero e proprio istinto "bestiale", o meglio: a volte non sono motivati neanche da quello...

La sete di profitti e le logiche di produzione di massa ci portano a non avere scrupoli, né con i nostri simili, né tantomeno con gli animali, creature ritenute "inferiori" e adatte alla prevaricazione. Premesse necessarie se consideriamo l'indagine dell'organizzazione no-profit PETA (People for the Ethical Treatment of Animals), svolta su due dei maggiori esportatori mondiali di cashmere.

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PETA (People for the Ethical Treatment of Animals)/YouTube

PETA (People for the Ethical Treatment of Animals)/YouTube

Le immagini diffuse dall'organizzazione fanno davvero venir voglia di non acquistare più prodotti di questa fibra, dato che le capre coinvolte nel processo di produzione vengono sottoposte a vere e proprie torture per ottenerla. In queste "fattorie degli orrori", che si trovano in Cina e Mongolia, la pelliccia viene letteralmente strappata via dagli animali con grossi strumenti in ferro. Gli ovini gemono di dolore e di paura mentre vengono costretti a subire questi trattamenti in modo prolungato.

Non è raro che le capre rimangano ferite e non curate come dovrebbero e che, al termine di questo ottenimento violento del cashmere, vengano uccise, lasciate morire o vendute per poi essere macellate, senza la benché minima attenzione alle sofferenze che provano.

Libreshot

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Le crudeltà a cui vengono sottoposte le capre da cashmere sono indicibili, se pensiamo che si tratta di esseri viventi, coscienti e in grado di provare dolore e paura, proprio come noi. Leggendo i rapporti di organizzazioni come il PETA e guardando le immagini dei loro reportage, ci si chiede davvero cosa ci dia il diritto di fare queste cose ad animali indifesi.

Forse sarebbe ora di cominciare a ripensare a buona parte dei nostri modi di fare e, soprattutto, di consumare. Solo ampliando i nostri orizzonti a una maggiore sensibilità e a un maggiore rispetto per la natura, potremo dare un segnale concreto, e magari cominciare a contenere crudeltà e soprusi inaccettabili.

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