Secondo una psicologa, l'ossessione che abbiamo per scattare foto ha cambiato il nostro modo di ricordare

di Giuseppe Varriale

18 Febbraio 2019

Secondo una psicologa, l'ossessione che abbiamo per scattare foto ha cambiato il nostro modo di ricordare
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Da molto tempo branche del sapere umano come antropologia e filosofia si occupano della tecnologia e del rapporto che essa instaura con la nostra specie. Giuliana Mazzoni, professoressa di psicologia della University of Hull, si è soffermata proprio sui pericoli derivanti dall’uso sfrenato degli smartphone per immortalare se stessi e la propria vita.

Secondo la psicologa italiana, l’uomo ha sempre cercato un aiuto esterno alla propria memoria – diari, registratori, post-it... –ma ora, a causa dell'uso spropositato degli smartphone, non ricordiamo più gli avvenimenti che ci accadono perché li registriamo sul nostro cellulare: non dobbiamo più fare lo sforzo di ricordare esattamente cosa ci è capitato. Tutto questo porta a varie, nefande, conseguenze.

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pixabay

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Secondo alcuni studi, scattare foto di un evento anziché immergercisi dentro provoca un ricordo più labile dell’evento stesso e delle nostre sensazioni. Ciò comporta un utilizzo sempre meno frequente della memoria e, di conseguenza, un indebolimento della memoria. Ma questo non è tutto.

Affidare la nostra memoria alle foto porta a due conseguenze importanti:

  1. Quando decidiamo di scattare una foto, un selfie soprattutto, assumiamo pose solitamente innaturali: il selfie è una realtà costruita ad hoc che non combacia con il nostro vero modo di sentirci in una determinata situazione. Questo provoca un ricordo falso.

  2. Affidare la memoria di noi stessi alle foto può portare ad una vera e propria distorsione della personalità: la memoria, infatti, possiede un'enorme capacità adattiva e tende a creare dei falsi ricordi per poter giustificare la nostra attuale personalità. Se, ad esempio, un uomo è propenso ad aiutare sempre gli altri, la sua mente tenderà a creare ricordi in cui è sempre stato così, anche quando ciò non è effettivamente avvenuto, per dare la sensazione di uno sviluppo più armonico del carattere. Viceversa, se la nostra vita viene registrata anziché ricordata, le immagini che ci presentano una personalità diametralmente opposta all’attuale ci sembreranno assurde e poco veritiere, creando di fatto un corto circuito mentale.

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Andri Koolme/Flickr

Andri Koolme/Flickr

Sembra, tuttavia, che l’impiego di mezzi esterni per i ricordi abbia anche un piccolo risvolto positivo: è vero che l’utilizzo delle immagini tende a reprimere la memoria, tuttavia esso permette anche una sorta di spostamento di competenze dall’essere capaci soltanto di ricordare all’essere capaci di gestire più efficacemente il modo in cui ricordiamo.

Si tratta di ciò che gli psicologi chiamano “metacognizione” e che permette, ad esempio, di pianificare il modo di studiare per rendere più chiari alcuni passaggi.

Tuttavia, si chiede anche Giuliana Mazzoni, cosa accadrebbe in un futuro in cui affideremo tutti i nostri ricordi a smartphone, registratori e tablet nel caso in cui un difetto informatico dovesse distruggerli tutti?

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