L'inferno di Nauru, l’isola-prigione nel Pacifico in cui vengono confinati i rifugiati

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di Marco Renzi

19 Marzo 2017

L'inferno di Nauru, l’isola-prigione nel Pacifico in cui vengono confinati i rifugiati
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Nauru, situata nell'oceano Pacifico è una piccola isola che fa parte dell’arcipelago della Micronesia, la sua superficie è di 21.4 km quadrati con 10 mila abitanti. È stata trasformata nella terribile prigione in cui rifugiati siriani, iracheni, afghani e profughi del Myanmar vengono rinchiusi quando cercano di raggiungere l’Australia. Dovrebbe essere la soluzione che il governo australiano ha deciso di attuare per difendere i confini del paese, si sta rivelando una tortura per centinaia di persone: sono scappati dagli orrori della guerra cercando la speranza in un posto migliore ma trovano solo una morte lenta e derelitta.

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La prigione di Nauru fa parte di un progetto che, ironia della sorte, si chiama “Pacific solution”. La politica australiana consiste nell'intercettare navi cariche di clandestini e deportarli nel “campo di accoglienza” dell’isola di Nauru, fonte di introito per il governo.

La situazione nel campo di accoglienza di Nauru è tragica, alcuni operatori Amnesty International sono riusciti ad introdursi sull'isola e a intervistare più di cento persone rinchiuse, questi hanno descritto una situazione totalmente tragica: abitano in tende o capanne di lamiera in uno dei luoghi più caldi del globo, le condizioni di igiene sono pessime e vivono quotidianamente con ratti e scarafaggi.

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I giovani non ricevono educazione e non sono tutelati dagli abusi, alcuni adolescenti sono entrati in depressione e hanno deciso di togliersi la vita. Le norme di sicurezza sono pressoché inesistenti. Sono stati registrati casi di violenza anche ai danni di minori nei quali erano coinvolti sia alcuni rifugiati che abitanti dell’isola veri e propri.

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Amnesty sostiene che “Il sistema di detenzione attuato dall’Australia nei confronti dei rifugiati è pari alla tortura secondo il diritto internazionale.”

Uno degli intervistati ci lascia questa triste testimonianza: “Non posso tornare indietro e qui sto morendo mille volte. A Baghdad rischi di morire con una pallottola o una bomba e in un attimo è finita. Qui sto morendo lentamente dal dolore”.

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Non è un caso che il governo australiano abbia vietato l’ingresso ai giornalisti, solo una cerchia ristretta e appositamente scelta può accedere all'isola. Com'è possibile che in un paese civilizzato come quello australiano sia permessa una barbarie del genere?

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